Rage Hoover, classe 1991, nato a Foggia ma adottato dalla provincia pesarese all’età di 12 anni, ha esordito nella scena tre anni dopo come producer fino alla maggiore età dove ha iniziato a darsi anche al rap scritto e cantato per poi verso i 20 anni dedicarsi esclusivamente a quello, abbandonando i beat.
Ad oggi conta 3 mixtape di strumentali, 2 mixtape musicali e un totale di 700mila ascolti su Spotify, oltre che più di 100mila su YouTube.
T: Rage sei forse uno dei primi che ha iniziato a fare rap nel panorama di Pesaro, Fano e Urbino della tua generazione. Da dove nasce questa passione?
R: Probabilmente nasce da quando ero piccolo, anche se alla mia età, quando avevo 14-15 anni, non era come oggi, adesso ci nascono direttamente. Quindi ti parlo di 15 anni fa, era veramente strano. Mi ero trasferito da poco, avevo conosciuto delle persone quindi non è che soffrissi tanto il trasferimento però boh ascoltando Club Dogo e Articolo 31, Sacre Scuole mi sono “auto introdotto” in un mondo che sentivo mio forse più della provincia in cui mi ero trasferito. È nato tutto scoprendo un programma per fare beat e mi ha preso così tanto che l’ho visto come un modo per evadere, è stato un modo per ambientarmi in un luogo nuovo nonostante alla fine non lo facesse nessuno.
T: Tra tutti gli intervistati tu e Simon Skunk siete sicuramente tra i più old, tuttavia avete da sempre avuto due approcci al rap totalmente differenti, come mai?
S: Questa è una bella domanda, è complicato dargli una risposta. Io ho ascoltato tanto old school e amavo le loro basi però quando ho iniziato a rappare l’ho sempre visto come un rap-cantato e nonostante mi piacesse campionare i beat vecchi ho sempre voluto provare ad andare oltre i soliti canoni, provare qualcosa di nuovo. Un approccio che oggi chiamano indie anche se secondo me con l’indie non centro nulla.
Per me, quello che faccio io, è unire il rap al cantato su basi pop. Come ad esempio nel caso di Coez o di Frah Quintale, loro hanno fatto uguale. Facevano old e poi hanno iniziato a cantare, può sembrare un metodo per entrare nel mainstream ma non me n’è mai fregato nulla.
Anche se vorrei viverci mi va bene anche solo farlo, perché mi piace… e basta.
T: Si può dire che fai musica di un genere magari più “commerciale”, la definirebbero così i puristi, pensi sia giusto come epiteto?
R: Fondamentalmente potrebbe essere così perché tanto l’old non è commerciale, è proprio questo il significato.
Tutti ci son passati, anche Fibra prima faceva old school vero però poi si è messo a fare il commerciale, ma è una cosa strana da definire.
Per entrare nel mainstream sicuramente devi mantenere certi canoni, tutte le canzoni che sfondano se guardi sono così, un po’ pop.
Io lo faccio però perché mi piace fare musica nuova, essendo appassionato dei Dogo che già da Sacre Scuole e Mi fist tendevano a quell’impronta lì nei ritornelli nonostante fossero old school era sin da principio forse quello che mi prendeva, poi con i sint e i campioni di Don Joe sono esplosi definitivamente.
Penna capitale ad esempio, il secondo album, potremmo dirlo totalmente commerciale però erano comunque veri, avevano voglia di fare ed essendo un loro fan sfegatato li ho seguiti.
Alla fine il primo album ch ho ascoltato erano gli Articolo 31 quindi già si capiva dove sarei andato a finire ah!ah!ah!
T: Da un punto di vista musicale collabori molto con Dask, produttore pesarese, si potrebbe dire che da quando vi siete incontrati non vi siete più lasciati. Hai trovato la tua anima gemella musicale? Cos’è che deve avere un produttore per prenderti così tanto?
R: Ai tempi che facevo musica con Quel Baby nel 2013-14 e facevamo molte serate, suonavamo spesso alle varie feste di Pesaro ed un giorno è successo che chiamarono loro un dj che poi diede forfait nel pomeriggio. Ricordai quindi che un anno prima avevo ricevuto un messaggio con una canzone di Dask e mi ero complimentato con lui (anche se però, nonostante gli avessi fatto i complimenti, lui mi aveva detto che preferiva fare il dj) e quindi, a un anno di distanza, quel pomeriggio gli scrissi. Ricordo che gli trovai io le canzoni trap per quel dj set e da lì ci siamo trovati. Lo abbiamo chiamato la serata dopo e quella dopo ancora e poi si è appassionato di basi definitivamente iniziando a produrre fino al 2016, quando abbiamo aperto lo studio insieme e da lì con il “Reset Studio” siamo stati sempre insieme.
Infatti l’anno dopo è subito partito il progetto nostro, prima di allora solo nel 2015 aveva prodotto una canzone per me, quindi diciamo che il progetto vero e proprio è partito l’anno successivo.
Per cui penso che ora sia normale il fatto che collaboriamo sempre insieme, lui sa già quello che mi piace quindi quando gli faccio sentire una canzone lui sa già come voglio il beat, è il mio producer di fiducia e non ne vorrei un altro.
T: Un tuo format che ti ha reso praticamente l’unico nel tuo genere è stato Hoover Burger che ha avuto un notevole successo su tutti i social, da dove nasce quest’idea?
R: Vedi, io ho fatto il cuoco per 9 anni ed era complicato far musica lavorando in cucina, quindi è una cosa che ho sempre avuta come passione ma insieme erano incompatibili, così ho mollato la cucina.
Ho fatto due conti, cosa mi fa stare meno male se la lascio ed è risultata la cucina.
Così nel 2016 mentre ci pensavo ho detto perché non fonderle? Ma soprattutto… come fonderle? La cosa più diretta sembrava fare degli hamburger e rapparli, quindi l’ho fatto.
Poi ero fissato con Chef Rubio in quel periodo e infatti nella prima puntata ho usato la musica di “Unti e bisunti”, ricordo che era agosto 2016 e andò benissimo, così ho continuato anche se sporadicamente, facendo più o meno un video ogni due mesi.
Nel 2019, quindi l’anno scorso, ho poi pensato di riprenderla perché alla fine lasciarla era stata veramente una cazzata e l’ho ripresa.
Ho iniziato di nuovo a maggio nel 2019 e per tutta l’estate ho fatto 1 episodio ogni 2 settimane, una stagione da 9 puntate di un minuto su Instagram mentre la seconda l’ho voluta spostare su YouTube inserendo delle puntate più lunghe e producendo magliette e grembiuli del format Hoover Buger.
Avrei dovuto fare tutte le regioni d’Italia, la canzone sul panino la prima settimana e la seconda invece dedicata ai backstage, ma ho potuto farlo soltanto fino a fine febbraio poiché per via dell’emergenza Covid-19 sono stato costretto a fermarmi fino a data da destinarsi.
T: Tra album, mixtape, ep, ecc. ne hai fatti uscire veramente tanti, hai intenzione di fermarti o sei pronto per buttare fuori qualcos’altro a breve?
R: A livello di album non ho intenzioni in questi mesi di fare uscire nient’altro mentre a livello di singoli ne abbiamo pronti già un tot, sia con Dask che con Steph Sinatra, il cugino con cui ho iniziato a fare musica che era con me quando ho scoperto il programma per fare basi.
Ho un sacco di pezzi pronti con lui e uno solo con Dask però solo singoli, per ora l’idea è questa.
T: Nonostante gli album trovi anche tempo per dare spazio appunto anche a dei singoli, l’ultimo ad esempio qualche settimana fa “Bambola”, perché secondo te alcune canzoni vanno fatte uscire da sole mentre altre presentate in un album?
R: Beh diciamo che se uno lavora a un singolo dovrebbe valere molto, dovrebbe essere un top anche se a volte magari hai una canzone da parte e lo fai uscire comunque.
Pensare ad un album è un peso diverso, quindi abbiamo pensato di concentrarci adesso su una canzone e basta e farla bene, in un album puoi fare belle canzoni ma le hit sono poche, le altre ti riempiono l’album e basta alla fine.
Al momento quindi voglio puntare su una canzone alla volta sperando di consolidare una grande fan base perché soltanto quando hai la gente che ti aspetta puoi fare uscire un album, diciamo che ti dà più soddisfazione anche se in questo momento storico, musicalmente parlando, fare un singolo è tutto.
E siccome tralasciando la passione voglio comunque iniziare a concretizzare un po’ il tutto, se voglio veramente campare di musica devo velocizzarmi e fare quindi quello che bisogna fare in questo momento, ovvero i singoli.
T: Bene, ora le tre domande di rito… Artista e canzone preferita, vai!
R: Artista preferito ovviamente Gue, ma potevi dirlo anche tu ah!ah!ah! È il mito musicale, quello che sarei voluto essere ma so che siamo distanti. Riconosco che non ho il suo carattere e quindi scrivere pezzi come lui sembrerebbe finto nel mio caso, mentre lui qualsiasi cosa faccia riesce a risultare reale. Per questo lo ammiro.
Per quanto riguarda la canzone, ti direi “Una volta sola” perché per me parla di tutto, di storie vere in cui mi sono ritrovato tantissimo e che ancora oggi mi fa venire la pelle d’oca ogni volta che l’ascolto. È la canzone più bella che abbiano mai fatto secondo me. Mi ritrovo nelle frasi, nei versi, nelle rime… poi è stata una delle prime canzoni che mi ha fatto appassionare a questo mondo quindi ci sono anche tanto affezionato.
T: E se invece potessi fare un feat con chiunque e uno con un italiano chi mi citeresti?
R: Impossibile ti direi Jay-Z che ho stimato tantissimo o sennò come tanti Tupac o Notorius, ma Jay-Z va benissimo. Se invece dovesse essere esterno alla scena hip hop beh… assolutamente Michael Jackson .
Italiano beh… che te lo dico a fare! Sono 10 anni che sogno di fare un feat con Gue, lo avevo pure contattato una volta per email e mi aveva anche risposto. Era l’anno di transizione tra i Dogo e la carriera solista.
Il problema fu che gliela mandai da una mail anonima che non uso mai praticamente e quindi, nonostante lui mi avesse risposto dopo due settimane, lo vidi soltanto con tre mesi di ritardo.
T: Un consiglio ad una new-entry che si affaccia in questo mondo?
R: Gli consiglierei di non fare il mio errore all’inizio, perché nonostante fosse difficile pubblicare ho fatto uscire comunque delle cose che anni dopo ho definito io stello delle “porcherie” ah!ah!ah! Quindi gli consiglierei vivamente di avere una forte autocritica nei suoi confronti e di pubblicare il pezzo soltanto quando realmente vale.
Teobaldo Bianchini