Caro fratello,
finalmente ho trovato il coraggio di scriverti. Come sai, mi è difficile rimanere concentrata nel lungo periodo. Penso tanto ma agisco poco. Ecco perché ci ho messo più del previsto a preparare questa lettera, spero non te ne abbia a male per questo. Comunque, in questi mesi di reclusione ti ho pensato enormemente. E anche adesso che la situazione è più lasciva, le persone escono per prendersi una birra al bar e i bambini vanno al parco accompagnati dalla nonna, l’intensità del mio pensiero non diminuisce. Perché mi hai abbandonato? Non riesco ancora a perdonarti del tutto. Avevo bisogno di te ieri tanto quanto ne ho bisogno adesso. Mi manca la tua presenza a casa. Saresti stato il mio modello e il mio anti-modello. Avremmo litigato tante volte e non ti nascondo che sarebbe stato divertente. Avrei tentato di buttarti a terra con il mio repertorio di mosse di Judo. Mi chiedo come saresti stato: intelligente e posato come papà o emotivo e irruente come la mamma? Non nascondo la difficoltà che incontro nel cercare di mettere a fuoco. Troppo da dire, troppo poco ordine in testa. Forse è per questo che mi piace sistemare fuori, ciò che mi circonda: la casa, la camera, l’armadio, gli utensili in cucina. Tu saresti stato un disordinato, a modo tuo ovviamente, il classico ordine personale che confonde lo sguardo estraneo. Ti saresti lamentato per la tua altezza, avresti voluto essere più alto, con le spalle larghe. Avrei odiato le tue fidanzate dai vestiti ricercati e dal trucco elaborato già di prima mattina. Avresti fatto legge o economia. Nonostante le divergenze, mi avresti voluto bene. Mi avresti protetto dai ragazzi, mi avresti insegnato a scegliere con maggior coscienza e con criterio, senza cadere nel tranello dell’ingenuità e del sentimento superstizioso. Dio, quanto odio tutti questi condizionali. Avresti avuto ottimi voti, solo per farti comprare un motorino. Dopo mesi e mesi di discussioni e rinunce, finalmente avresti convinto papà. Non avresti mai guidato ubriaco, non sarebbe stato nel tuo carattere. Il senso di responsabilità che i nostri genitori ci hanno trasmesso sarebbe sempre stato presente, anche nelle situazioni più depravate. Trattenuto e duro all’esterno, altamente sentimentale nel profondo del tuo essere. Avresti oggi il volto serio e tirato, gli occhi blu intenso, i capelli castani, le occhiaie, centosettantadue centimetri di altezza, poco più di me. Questa caratteristica ti avrebbe sempre fatto infuriare, ma per fortuna col tempo saresti stato capace di accantonare il tarlo.
Oppure, saresti stato un ribelle. Forse il primogenito deve essere un ribelle. Saresti stato tu quello che andava ai rave, alle feste non convenzionali, circondato da nomadi della vita. Avresti compiuto azioni illegali, ti avrebbero sospeso da scuola un paio di volte. Mamma avrebbe urlato e pianto tanto, papà si sarebbe chiuso in se stesso, e tu avresti fatto dentro e fuori casa. I nostri genitori avrebbero riposto in me tutta la loro speranza, visto che tu rappresentavi il caso perso, e ciò mi avrebbe portato a crescere con un forte senso di responsabilità, che ben avrebbe nascosto un senso di inadeguatezza onnipresente. Bada bene, ti avrebbero accettato e amato lo stesso incondizionatamente, visto che per fortuna loro non sono dei bigotti, e soprattutto sanno perdonare. Papà, col passare degli anni, avrebbe imparato ad ascoltare. Ma i suoi silenzi, quando lo deludevamo, ecco quelli ci avrebbero scottato nel profondo, sempre. Sarebbe stato impossibile abituarcisi. Avresti fatto a pugni con i ragazzi che mi avevano fatto piangere, e io mi sarei arrabbiata molto, avrei urlato «So badare a me stessa, me la so cavare da sola». Avremmo saputo entrambi che non era vero. Avresti odiato l’integrità di papà, integrità alla mercé di un mondo corrotto e di uomini scorretti. Il comportamento da lui acquisito tramite un’educazione religiosa cattolica, totalizzante, ti avrebbe fatto infuriare da adolescente, e avrebbe continuato a lasciarti basito da adulto. Da piccolo saresti stato ancora più peste di quanto sarei stata io anni dopo. Ecco perché, quando io avrei litigato con mamma, lei mi avrebbe sempre ricordato che ero nata per sbaglio, perché lei e papà erano già abbastanza avanti con gli anni quando hanno avuto te, e non avevano la voglia di crescere un altro figlio, di passare altre notti insonni e altri anni di privazioni sociali. Avresti rubato, una volta soltanto, le offerte dei fedeli durante la messa. Non perché volevi i soldi, ma perché volevi metterti alla prova, volevi vedere se eri in grado di compiere quella profanazione. Avresti girato con compagnie opinabili, ma solo perché non ti piacevano i ragazzi normali, la cui meschinità avresti reputato peggiore di chi, per quanto fuori contesto, per quanti errori commessi, almeno tentava di essere se stesso e di pensare con la propria testa, per quanti sbagli ciò può comportare, soprattutto quando si è giovani. Avresti scritto moltissimo, anche in greco e in latino, perché, sebbene avresti odiato il fatto che papà ti avesse imposto di fare il liceo classico, in fin dei conti eri portato e lo avresti capito quasi subito. Avresti scritto soprattutto canzoni, ma non le avresti fatte leggere a nessuno se non a me, alla tua sorellina. Le avremmo cantate a notte fonda, fuori in terrazzo, mentre fumavamo sigarette a lume di candela, grattandoci i becconi di zanzara. Un giorno, avrei scritto sui muri fuori da scuola la tua canzone più bella, perché ero orgogliosa di te e amavo quelle belle parole, così oneste e pure. Di tutta risposta ti saresti infuriato e non mi avresti parlato per due settimane, nemmeno durante le cene, unico momento della giornata in cui ci saremmo trovati tutti e quattro nella stessa stanza. Avresti fumato molte sigarette solo per far stare male papà, per ribadire che non eri come lui. Avremmo vissuto numerose avventure, avremmo litigato in un’infinità di occasioni solo per fare sempre pace, alla fine. Per stanchezza, per comodità o per puro desiderio di farlo. Mi avresti consolato quando sono morti i nonni e quando è morta la zia, che si è uccisa proprio come avrei voluto morire io in quel periodo così difficile vissuto a sedici anni. L’incapacità di aiutarmi in quei lunghi mesi ti avrebbe distrutto, saresti spesso scappato di casa in quel periodo, rimanendo a dormire dalla ragazza di turno che avevi. Avremmo litigato anche per questo, perché di donne rispettavi solo me. Tuttavia non saresti mai stato un violento o un misogino, semplicemente non saresti stato in grado di avere legami stabili. Poi, ma questo non lo potevi sapere, avresti conosciuto quella ragazza francese dal volto incorniciato da capelli ricci che sorrideva sempre, e non l’avresti più lasciata andare. Mi manca averti di fianco, diverso da me ma comunque con il mio stesso sangue. Lo stesso sangue. Mai come in questo periodo di quarantena, un legame così mi è mancato. Sappi che ti avrei accettato con qualunque carattere, con qualunque aspetto. Fratello mio, prima o poi ci incontreremo, forse nella prossima vita o forse quella dopo ancora. Forse quando saremo tutt’uno con l’universo. Aspetto lietamente di potermi ricongiungere a te. Fratello, sangue, amico, confine, anima, altra faccia della mia stessa medaglia.
Elisa