La Giornata (1)

L’autore del seguente “poemetto” è certo di rispecchiare il dolcissimo e moderatissimo intento del signor Parini, reinterpretando in chiave contemporanea un altro panegirico alla più nobile categoria dei nostri tempi: lo studente fuorisede viziato e sinistroide. Mi perdonino le Muse per codesta opera non sempiterna.

Giovin dottore! Dischiusi gli occhi
dopo il simposio notturno, girato
su di un fianco come fece Patroclo
cadendo sotto l’armi del Troiano,
t’allunghi come il Sommo verso
Adamo nella gran Cappella dell’Urbe,
per poi premere le dita consumate
dalle arti boscaiole sul bottone
bianco del tuo telefono, prodotto
equo e solidale(verso il NASDAQ).
Giovin dottore, o meglio, giovin
studente, son ormai le dieci passate
ed un delicato afflato stomacale
fende l’aria come una freccia inglese
nel cielo di Poitiers. Lesto, stiracchiati
i nerboruti arti, ruoti ciò che tiene
su la testa (così oppressa dal peso
del sì preminente pensiero) e
scrocchi amorevolmente le vertebre.
E’ in brache di araba seta che ti dirigi
verso la stanza adibita ai pasti.
E’ in cadenzati passi che ritmeggi
come in una marcia lo spazio.
E’ in creativi epiteti al Signore
che ti rivolgi non trovando la moka.
Una volta reperito l’istrumento,
di macinati chicchi empi il
metallico cerchietto. Un tenero
sbadiglio ti si dipinge sulla faccia,
così irta di arcadici pruni di
sabbatico pelo. Osservi ridente
il poster illuminante del novello
Messia. Quello sguardo, quel pelo,
quella tensione eroica nel volto:
sembra quasi che quel guerriero
ti parli dalle sue virili labbra…
Sorridi e socchiudi le luci sopra
al nasino, quel ventino per l’icona
di Civati fu ben speso.  Giovinotto,
perché profondersi in blasfemie,
se l’oro nero sorte dall’istrumento?
Spenta la fiamma che fu di Prometeo,
t’accingi a empire la bianca tazzina
di liquido rivitalizzante. È con garbo
che sfogli le notizie diurne su una
rivista ben nota (Internazionale),
mentre sorseggi soddisfatto
sette sorsi di soave caffè.  Senza

Timore d’esser scoperto, dirigi
la tua colta attenzione ai fumetti
in ultima pagina e ti compiaci
della tua schiacciante erudizione,
quando comprendi una caricatura
sul presidente statunitense.
Oh gioia! Oh giubilo! Il fuorisede
è animale politico, come soleva
ripetere il filosofo di Stagira, quel
tale il cui nome spesso alberga
il tuo afflato, benché tu non abbia
sfiorato neanche una volta (sia mai!)
i suoi testi, per paura di confutare
il suo primitivo pensiero! Aristotile
fu argomento produttivo nel
vincere le resistenze della tua

Compagna, alla quale, rapido, invii
un grazioso messaggio di buon auspicio
per il dì produttivo che aspetta.
Rimembri, giovin dottore, l’istante
in cui i tuoi gaudenti occhi si posarono
sui suoi floridi seni, nel circolo
culturalmente meno contraddittorio
dell’urbe felsinea? Discorrevate
delle storture del sistema economico
e del declino dei valori, mentre le
vostre energiche mani s’adopravano
nell’affinare un utensile cartaceo,
la cui spina era pregna di aromi
orientali e stupendi, finanziati
dal contante paterno (saggiamente
dirottato verso tali usi, invece che
dispiegato in inutili cibarie o pesanti
libri di studio). Come la chioccia
dischiude l’ala sotto al pulcino
per ripararlo dalle intemperie,
tu, di maschia tempra,
di vitalistico stampo,
di selvaggia arte,
di inattesa perizia,
effettuasti una gastroscopia
sulla gola della Compagna
suggellando così, con iridi
rossastre per la consumazione
dell’orientale aroma proibito,
il preludio ad un interludio
rapido ma intenso (almeno così

Dicesti alla fortunata…)

Leonardo Mori

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